MEC MUSEUM
01 Feb – 01 July 2020
MEC MUSEUM
site specific installation by Edoardo Dionea Cicconi
Palazzo Castrone Santa Ninfa, Via Vittorio Emanuele 452, Palermo
Edoardo Dionea Cicconi contribuisce all’apertura del MEC Palermo, il nuovo museo legato alla tecnologia situato davanti la Cattedrale.
Ospitato al piano nobile di Palazzo Castrone, a pochi passi dalla Cattedrale, apre il MEC, nuovo polo culturale situato nel cuore della città di Palermo ideato da Giuseppe Forello.
Il progetto, costituito dalla collezione di cimeli tecnologici creata da Forello a partire dalla fine degli anni Novanta, racconta la storia del colosso dell’informatica Apple e del suo creatore, Steve Jobs, all’interno di un tracciato espositivo che si snoda tra le stanze del Museo.
Il tragitto dei visitatori si conclude nella sala del Tempio, con una sezione dedicata all’arte contemporanea e alla fotografia vintage d’autore: un’installazione di Edoardo Dionea Cicconi e intorno alle pareti una selezione di fotografie di Jean Pigozzi e Diana Walker.
Il progetto di Cicconi, composto da due sculture, assume immediatamente respiro ambientale innescando un dialogo serrato tra la scultura posta al centro della sala e il dispositivo inserito nella nicchia situata in alto sulle pareti, ingaggiando lo spettatore in un gioco di rimandi.
Qui l’artista da forma ad un lavoro incentrato sul tema dell’illusione e della distorsione ottica, attraverso la rifrazione e la stratificazione dei materiali, in una riflessione più vasta sulla concetto di memoria.
Così accade nel Monolite nero in vetro stratificato che si staglia al centro della sala. Qui la scultura si offre allo sguardo del visitatore in maniera differente, a seconda del punto di vista: lateralmente gli strati in vetro lasciano trapelare la loro trasparenza, creando un gioco di rifrazioni luministiche. Frontalmente invece, gli stessi strati negano la loro trasparenza bloccando la visione e restituendo alla vista una superficie nera, compatta e quasi impenetrabile.
Tale addensamento, osservato da vicino, rivela una serie di geometrie impresse sulla superficie: come mappe spaziali o ingrandimenti al microscopio, tali iscrizioni pongono in relazione la macro dimensione a quella micro. Simboleggiano una black-box, ovvero una “scatola nera” di memoria, costituita dall’assembramento di tutte le schede madri dei primi computer ideati da Steve Jobs. Tale successione di livelli in vetro impresso tramanda la sequenza dei chip delle prime creazione della Apple. Schede madri, circuiti, chip diventano un elemento che rappresenta la memoria della tecnologia Apple, e ci proietta anche nel suo futuro.
Lo specchio inserito all’interno della nicchia sulla parete allo stesso modo trae in inganno ottico lo sguardo dello spettatore: la loro superficie infatti, sottoposta ad un movimento, flette l’immagine e distorce il riflesso, ritornando poi allo stato iniziale.
Se nell’arte cinetica l’opera interagisce con lo spettatore grazie al movimento di quest’ultimo, in questo caso è l’opera stessa a muoversi cogliendo in fallo lo spettatore. Il gioco che si innesca è un gioco di rimandi, cristallizzato nell’impossibilità per lo spettatore di vedere se stesso in un’immagine fedele alla realtà.
Ma il concetto di distorsione fa qui riferimento anche alla definizione coniata nel 1981 per descrivere il carisma del leader dell’azienda, Steve Jobs. L’ RDF – Reality Distorsion Field e’ la sua capacità di credere e far credere nell’impossibile avrebbe reso possibile l’impossibile.
Ci si immagina così che all’origine di una mente geniale vi sia una forma di distorsione della normalità, necessaria per dar vita a qualcosa che prima non c’era.
Testo a cura di: Giulia Pollicita